Malusà M.G. & Vezzoli G. – Interplay between erosion and tectonics in the Western Alps. Terra Nova 18 n°2-2006, 104-108.
Fresco di stampa ecco un articolo tutto centrato sulla Valle d’Aosta, con schemi geologici regionali ben in evidenza. Dei giovani autori, il secondo lavora all’Università di Milano mentre il primo appartiene al CNR di Torino, il vecchio e glorioso Centro Studi sulla Geodinamica delle Catene Collisionali ora annegato nell’uniformità nazionale sotto altro nome.
Il soggetto dell’articolo poi è di quelli che possono incuriosire qualsiasi intelligente osservatore del paesaggio, mentre a livello didattico potrebbe costituire un buon punto di ancoraggio per introdurre finalmente in modo serio la geografia e le scienze della terra nel curriculum scolastico dei nostri rampolli.
La tesi che si dimostra è semplice: l’intensità dell’erosione in montagna non dipende né dal clima, né dalla natura litologica dei suoli, e nemmeno dalla forma del rilievo. La produzione di detriti in un sistema idrografico è controllata principalmente dai movimenti verticali locali della crosta terrestre. Là dove la velocità di sollevamento delle montagne è maggiore, le montagne stesse sono più vigorosamente incise dai torrenti e dai ghiacciai, e più velocemente smantellate. In pratica, i torrenti alpini scavano per cercar di rimanere allo stesso livello, mentre le loro sponde s’innalzano spinte dalle forze interne del pianeta. Se il campo regionale di forze si sposta, e l’innalzamento rallenta, l’erosione avviene molto più lentamente, ma il ruolo del clima e della natura del substrato resta secondario.
Due parole sul metodo usato nello studio, metodo interdisciplinare a riprova della grande efficacia di tale approccio. I due ricercatori hanno usato due diversi strumenti, ciascuno nella sua specialità. Per la tettonica lo strumento di indagine è stato la misurazione delle tracce di fissione su apatite e zircone, ormai classico metodo per misurare l’epoca del raffreddamento delle masse rocciose che, messe a nudo dall’erosione, arrivano in prossimità della superficie. Si è così determinata la velocità di esumazione (sollevamento + denudazione erosiva) delle varie parti del bacino balteo. Per l’idrogeologia lo strumento è stato la misurazione e l’analisi mineralogica del sedimento trasportato, effettuate in differenti tronconi della Dora Baltea. Si trova così che ai tassi di esumazione più elevati che caratterizzano la zona del Monte Bianco corrisponde una maggiore produzione di sedimento (appunto il granito del Bianco) che resta prevalente nelle acque e nel letto lungo tutto il corso della Dora, in modo ben più che proporzionale alla quota di alimentazione del bacino. Non si osservano prevalenze riferibili alla composizione litologica delle zone attraversate né variazioni nel tempo in rapporto a diversi cicli climatici.
Ciò non vuol dire che non vi siano differenze nelle modalità di erosione su rocce differenti, né che vi siano eventi meteorologici più o meno efficaci nel trasportare detriti. Ma l’equilibrio dinamico sul lungo periodo si muove in rapporto con la tettonica molto più che in rapporto alle altre componenti del sistema idrografico. Le implicazioni, così a prima vista, sembrano di un certo peso, per esempio nel valutare i tempi di sedimentazione dei bacini pedemontani, nell’elaborazione delle strategie di protezione civile, nella gestione degli alvei fluviali e delle relative cave di pietrisco. Ma soprattutto questi dati, rivelandoci con forza un “nuovo” attore nell’evoluzione del sistema alpino, impongono una diversa filosofia nel nostro approccio alla montagna ed al suo ambiente, una filosofia più attenta ai tempi lunghi ed alle leggi della natura quali si rivelano a chi umilmente le studia in geologia.